L’emergenza abitativa che rende meno forte Milano

La protesta di Tende in piazza rilancia un tema trasversale: e la debolenzza della politica, in mancanza di una negoziazione forte tra pubblico e privato, pesa sempre di più

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando lo scorso maggio Ilaria Lamera, studentessa di ingegneria ambientale al Politecnico, ha piantato una tenda in piazza Leonardo per porre l’attenzione sul caro affitti e sull’impossibilità di potersi permettere un alloggio. Alla sua protesta si sono presto unite altre studentesse e altri studenti in una contestazione, pacifica, che è uscita da Milano per diffondersi in tutta Italia dove il “Movimento delle tende in piazza” ha creato proseliti a Pavia, Padova, Venezia, Firenze, Bologna. Tra il sostegno ricevuto dalle università, i frequenti via vai e le dichiarazioni social da parte di esponenti del mondo politico milanese, sono iniziate alcune interlocuzioni.
E l’eco della contestazione è arrivata anche a Roma tanto che la ministra dell’Università e della ricerca Bernini ha assicurato che il governo avrebbe censito gli immobili inutilizzati per metterli a disposizione, grazie ad una collaborazione con i privati prevista dal Pnrr, con l’obiettivo di assegnarne la realizzazione a chi avrebbe garantito il minor costo e il maggior numero di posti letto ai ragazzi che ne avessero avuto diritto, destinando un totale di 660 milioni di euro ad un nuovo progetto di housing universitario che si sarebbe aggiunto ai 287 milioni di euro destinati a gestori pubblici e privati già nel febbraio 2023.

Nel frattempo, a Milano, i ragazzi delle tende in piazza, dopo un periodo di pausa, hanno occupato la Casa dello studente i cui lavori, iniziati dopo più di un anno di inagibilità, erano stati interrotti per mancanza di fondi. Un’occupazione simbolica che si è interrotta dopo 36 ore una volta che i ragazzi sono stati rassicurati sulla ripresa dei lavori da parte della direzione generale del Politecnico in un confronto interlocutorio e pacifico.

Sabato 16 settembre, dopo esattamente tre mesi, le tende sono tornate a posizionarsi davanti al Politecnico anticipando una nuova occupazione nei locali di un ex cinema di proprietà privata destinato a diventare un’Esselunga. Prima dello sgombero, avvenuto ieri mattina, dibattiti e tavoli di confronto si sono tenuti per due giorni tra varie realtà italiane e milanesi indipendenti tra cui: il Link di Bologna, il sindacato studenti di Padova, Collettiva queer Brianza, Comitato Abitare via Padova e altri. A chiudere i lavori un’assemblea nazionale, a porte chiuse, per trovare soluzioni da proporre all’amministrazione che, dicono, chiede proprio a loro che cosa fare.

Sono ragazzi delusi, che con fierezza lottano per un obiettivo e, come dice Ilaria di sè stessa, alcuni di loro sono privilegiati e hanno magari avuto la fortuna di studiare per lunghi periodi all’estero, di avere una famiglia che li ha sostenuti e ancora li sostiene. Ma ciò che ci insegnano, attraverso la loro protesta, è che il tema della casa, oggi, a Milano, riguarda e accomuna fasce sociali differenti, diventando una fragilità che prima era solo dei più poveri. E, nonostante una modalità di protesta che evoca modelli ormai superati, la forza della loro voce si sente anche perché è quella di una generazione che ha ancora troppo poco spazio di parola. Il tema casa, nella loro visione, inoltre, è un tema trasversale che attraversa tutti i colori politici: “ È un problema di chi è di destra come lo è di chi è di sinistra”.

Ma la debolezza della risposta pubblica e politica, nonostante le buone intenzioni, è sempre dolorosamente debole perché in mancanza di una negoziazione forte tra pubblico e privato, non sarà possibile porre un tetto ai canoni di affitto che per gli studenti in difficoltà saranno sempre troppo alti. D’altra parte, il coinvolgimento dei privati, è volto a fare fronte ai tempi veloci del Pnrr che non sono gestibili dalla lentezza degli enti pubblici. Più in generale, se si risponde alle sollecitazioni spot seguendo i fari mediatici, ci si trova poi a doversi occupare di studentati in fretta e furia tralasciando che la questione dell’abitare è molto più ampia e tortuosa. Necessiterebbe infatti di strategie per progetti complessi di lungo periodo volti alla sperimentazione di più elementi capaci di stare insieme a partire dalla formulazione di misure concrete per la regolamentazione degli affitti brevi e di contenimento, attraverso leggi nazionali, delle locazioni in aree di forte tensione abitativa, come si fa in alcune città europee, per rimettere in circolo anche gli alloggi del mercato privato.

Sono temi che andrebbero accompagnati ad una riflessione sull’abbattimento della rendita fondiaria per la costruzione di alloggi a canoni convenzionati e sociali, e da una prospettiva seria di recupero del patrimonio pubblico inutilizzato o ammalorato anche ad opera di soggetti privati se controllati e regolamentati dal pubblico in maniera appropriata. Del resto, quegli studenti, tra poco, si laureeranno e con i loro stipendi da 1.500 euro non potranno probabilmente permettersi un bilocale a 1.200 euro al mese, perché tema dell’abitare non può prescindere da quello del lavoro, per tutti.

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