Ascoltare le paure per prevenirle

Cancelletti, sistemi d’allarme, sbarre alle finestre, difese più o meno aggressive e invadenti, anzitutto rispetto alla privacy di tutti. Chiunque frequenti con assiduità le assemblee condominiali racconta che, sempre più spesso e a ogni livello, gli incontri tra condomini ruotano attorno a questi temi. Un malessere diffuso che invade le vite fin nella dimensione più intima, quella della propria casaChi abita la città , infatti, vive di frequente una sensazione di insicurezza provocata da alcuni fatti di cronaca e da come vengono trasferiti e amplificati dai media. È una paura senza indirizzo, una minaccia percepita e liquida, per parafrasare Bauman: un nome che si dà all’incertezza, alla minaccia di cui si ignora il contorno esatto e che pure  si sente più chiara e vicina che mai. A ingigantire le pieghe di quella paura si insinuano, a ogni livello, le campagne politiche delle destre. Il tema, tuttavia, dovrebbe essere molto caro alla sinistra che, a partire dalla questione “sicurezza”, dovrebbe invece analizzare quali sono i fenomeni sociali che la determinano provando a prevenirli, oltre a comprendere che a sentirsi più insicuro e minacciato è chi ha meno strumenti, e meno disponibilità economiche.

Milano, del resto è la città italiana dove vengono denunciati più reati per ogni residente: circa 6.000 all’anno ogni 100.000 abitanti anche se, come ha più volte confermato la prefettura, , le denunce negli ultimi tre anni sono molto diminuite rispetto, ad esempio, al 2019 con un calo del 15%. 

Se analizziamo la mappa della criminalità di Milano realizzata da Arnaldo Liguori (diciamo chi è?) possiamo identificare Quarto Oggiaro, San Siro, Corvetto, Giambellino/Lorenteggio come i luoghi da cui emerge il fenomeno delle baby gang, la Stazione Centrale come il luogo in cui avvengono episodi di violenza, spesso contro le donne, mentre Corso Como e i Navigli sono convenzionalmente ritenuti il cuore dello spaccio milanese.

Se guardiamo però con attenzione questa geografia della paura, per citare il fondamentale testo di Mike Davis, e proviamo a guardare dentro al tessuto urbano sintetizzato dai numeri, non possiamo non pensare alle periferie come spazi di fragilità giovanili, dove molti ragazzi continuano a vivere situazioni difficili, di disagio sociale ed economico. È lontano dal centro che si annidano sacche numerose di Neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione. Le alternative alla frustrazione, spesso, assumono i toni della violenza e della rabbia. Sono ragazzi e ragazze che ancora pagano i danni di un Covid che ha tolto loro il diritto all’adolescenza e che usano la rabbia come forma di ribellione per gridare al mondo la propria sofferenza e fatica a raggiungere quello stesso mondo da cui si sentono perennemente esclusi.

Tra i punti di ritrovo naturali del disagio e dell’esclusione, quasi un simbolo di tutto questo in tutte le grandi città dall’Ottocento in poi, ci sono le stazioni ferroviarie. La stazione Centrale, luogo di partenze ma anche di approdi, è un luogo dove chi non ha una casa può bivaccare in attesa di un treno non identificato. Spesso si tratta di giovani stranieri che si sono smarriti e hanno perduto il proprio progetto migratorio, sono affetti da problemi psichici, sono privi di punti di riferimento, hanno poco e niente nelle tasche, sono homeless. Sopravvivono spacciando e, se va bene, facendo i riders. Fino a qualche tempo fa alcuni di loro potevano trovare rifugio negli Sprar (Sistemi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) ma da quando questi sono stati depotenziati, sono costretti a rinunciare ai servizi delle associazioni che di loro si prendevano cura e che ora faticano di più d individuarli e ad accompagnarli.

Poco lontano dalla Centrale, a tiro di passeggiata di metropolitana, ci sono corso Como e i Navigli, che rappresentano le zone della movida e della moda, dove la droga si vende facile, dove ci sono le discoteche, dove imperano boschi verticali, grattacieli e torri che bene rappresentano quella città in ascesa, dove ormai abitare costa tantissimo e che espelle chi non ha i mezi per permettersela. 

E’  proprio osservando questa geografia che emerge però la dimensione di una città molto sofferente e stratificata che meriterebbe più attenzione sociale e una grande riflessione politica.La paura che le conseguenze di questa fotografia trasmettono è così un sentimento diffuso soprattutto in una grande città come Milano, dove la dimensione culturale della diffidenza prende il sopravvento prima che le sue origini ne vengano analizzate. 

E se nelle pieghe della paura le destre si insinuano cavalcandola, invocando la necessità di avere più uomini dell’esercito per proteggere i cittadini, più ronde notturne a difendere i quartieri, incentivando modalità punitive, come nel caso della transessuale brutalmente picchiata dalla polizia nei pressi del Parco Trotter, dove il controllo sfigge di mano a chi dovrebbe garantire sicurezza.  Dall’altra parte le sinistre annaspano da sempre, tra l’inseguimento della destra e la minimizzazione, a volte l’accusa.. 

Servirebbero infatti battaglie e progetti seri sugli adolescenti che si perdono, servirebbe chiedersi come si possono migliorare i quartieri periferici attivando dinamiche di progettazione dello spazio pubblico attente e capaci di essere più sicure per donne, bambini, anziani incoraggiando presidi illuminati che rimangono aperti fino a tardi. Servirebbero battaglie e programmi sui temi dei senza dimora e della cura della salute mentale di chi vive in strada e servirebbe ragionare sulle conseguenze della turistificazione di Milano che rendono alcune aree invivibili dal punto di vista dell’ordine sociale. Infine un confronto con ciò che avviene in altre parti d’Europa potrebbe essere utile per strutturare finanziamenti adatti alla ricerca e alla messa a terra di progetti coraggiosamente guidati da un programma politico che metta al centro le persone ascoltando le loro paure provando a prevenirle dal punto di vista umano e sociale.

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