Per la grande Milano ci vuole un progetto oltre l’edilizia sociale

Articolo scritto per La Repubblica Milano il 21 marzo 2023

In queste ultime settimane non si fa altro che scrivere, parlare, leggere di come Milano sia diventata una città insostenibile, caratterizzata da prezzi delle case alle stelle e per questo inaccessibile alla cosiddetta zona grigia, ovvero la classe medio bassa, che nella città lavora ma non può permettersi di vivere.

Pensiamo ai lavoratori con un reddito compreso tra i 1.000 e i 1500 euro al mese. Parliamo di chi guida i tram oppure lavora al bar, al ristorante o negli studi professionali e non può sostenere i costi dell’affitto che in media per le aree medio urbane arriva a superare i 900 euro al mese per un bilocale nè, tantomeno, può acquistare una casa che oggi può arrivare a costare anche 5.000 euro in zone periferiche se toccate dalla metropolitana o da grandi trasformazioni urbane. Così la working class che manda avanti questa città è destinata ad essere catapultata fuori dalla città.

Ma nonostante se ne parli molto in questi giorni, grazie a post di celebrities indignate, la situazione a Milano è così da molto tempo e proprio per questo sarebbe importante che questo dibattito non si esaurisse quando l’onda generata dalle polemiche sarà finita, dato che le cause che hanno dato vita a questa situazione sono di lungo periodo: da quando Expo ha dato a questa città una dimensione attrattiva dal punto di vista turistico e da quando Milano è diventata appetibile per gli investitori immobiliari che hanno fatto diventare “la casa” un prodotto finanziario a tutti gli effetti.

Fondi di investimento, grandi aree di trasformazione oggetto di interessi immobiliari, interi quartieri brandizzati ad uso e consumo delle immobiliari che di Nolo, per fare un esempio ormai celebre, hanno colonizzato il futuro espellendo di fatto le famiglie straniere che di Via Padova, quando nessuno ci voleva andare, hanno di fatto tenuta viva un’arteria della città.

Milano è così divisa tra due corsie che non si incontrano mai, caratterizzate da diverse velocità: da un lato chi corre per raggiungere profitti, successi, ambizioni e dall’altro chi corre per arrivare a fine mese.

Ma d’altro canto, come dice YouTrend, se in centro un abitante su sei dichiara un reddito di 120.000 euro, a Roserio e Quarto Oggiaro i redditi dichiarati non superano i 12.000 euro.

E, come bene ci dice Oca l’Osservatorio Casa Affordable – strumento neonato nel mondo cooperativo – un operaio che guadagna 1500 euro al mese potrebbe permettersi l’acquisto di soli 19 mq tenendo conto delle spese accessorie e del mutuo.

Questo fenomeno espulsivo dovrebbe essere una sfida centrale per la politica, anche quella nazionale, la quale dovrebbe ricominciare a pensare che il tema casa correlato al lavoro è un’urgenza fondamentale da cui ripartire, per affrontare l’ultra secolare squilibrio territoriale che caratterizza l’Italia a livello locale. Tra le tante scelte possibili e necessarie, sarebbe importante, finalmente, esercitare una visione del futuro che inizi a guardare questi temi, e a fare scelte, al livello della Città Metropolitana.

Superato, con la fine della pandemia, l’immaginario emergenziale che spingeva a lasciare la città e vivere in contesti più rurali e meno urbani, è tempo di affrontare un’emergenza che è qui per rimanere: oggi andare a vivere fuori Milano, per molti, è una necessità economica. Proviamo a guardare dunque oltre i confini. Ad Abbiategrasso un trilocale si può ancora acquistare a 2100 euro al mq, mentre in affitto si può trovare un bilocale a 450 euro al mese. Ma per spostarsi da Milano verso Abbiategrasso in treno, serve un’ora di tempo.

A breve quindi si inizierà a pensare che sarà fondamentale interrogarsi su come Milano dovrà espandersi e in quale direzione. È questo un tema centrale anche del documento “una nuova strategia per la casa” elaborato dall’assessorato alla Casa e presentato lunedi al Forum dell’abitare. È naturale pensare, se si percorrerà questa via, che le politiche della casa debbano integrarsi con quelle del lavoro ma anche della mobilità, con un pensiero attento ai servizi culturali e di prossimità: servizi essenziali  per la vita di chi popolerà sempre di più i comuni della città metropolitana.

Ma soprattutto servirebbe un pensiero forte e di grande guida da parte del pubblico rispetto alla relazione pubblico/privato che tanto più viene auspicata per fare fronte alle casse del Comune che languono.

Questa dinamica espulsiva rischia di essere accelerata dalle stesse logiche di finanza immobiliare che abbiamo visto generarsi nella città  e che necessiterebbe, per essere frenata, di una visione coraggiosa per evitare di fare grande Milano ampliandone i margini e costruendo con la stessa logica espulsiva che critichiamo.

La realizzare di canonici progetti a spot, con parti di edilizia sociale e convenzionata qua e là, infatti, non aiuterebbe di sicuro una visione politica di reale e coraggiosa lungimiranza, come quella che si ebbe in Svezia, ad esempio, con il Miljonprogrammet tra il 1965 e il 1974, dove si costruirono un milione di alloggi in affitto per la working class demolendo alloggi inutilizzati. Di sicuro è necessaria anche una riflessione sulla qualità progettuale e sulla creazione di nuovi modelli abitativi ecologici e capaci di accogliere servizi al piede non commerciali ma ricchi di associazioni, realtà artigianali, culturali a dimensione di quartiere rispetto ai quali alleggerire vincoli urbanistici che ancora oggi, a Milano, ne rendono difficile il convenzionamento. Ma per iniziare serve far sedere allo stesso tavolo tutti i sindaci della città metropolitana, indipendentemente dal colore politico, per ragionare in maniera seria e pragmatica su quella che può essere anche per loro un’opportunità. Ma che è, soprattutto, una necessità delle persone.

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