Milano diventi un laboratorio dell’abitare

Articolo scritto per La Repubblica Milano e uscito il 27 gennaio 2023

A Milano, in questi decenni, le politiche edilizie e dell’abitare sono state determinate quasi esclusivamente dal mercato. Non è un caso eccezionale, ma  un fenomeno planetario che riguarda tutte le realtà urbane dinamiche e attrattive. E in questa città non sono mancate le esperienze alternative: basti pensare ai progetti di social housing realizzati grazie anche a finanziamenti pubblici, o all’innalzamento della soglia della quota obbligatoria di Edilizia residenziale sociale  negli edifici di nuova costruzione grazie al Piano di governo del territorio. Ma si tratta di esperienze marginali.

C’è stato tuttavia un tempo, molto lontano, in cui in Italia si è tentato, con successo, di instaurare un’efficacia dialettica tra Stato e mercato in questo campo. Era il 28 febbraio del 1949, quando il Parlamento italiano approvò un nuovo progetto di legge ”per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori”, cioè abitazioni economiche per i ceti popolari. Il famoso piano INA-Casa durò quattordici anni rappresentando una delle più consistenti operazioni di edilizia sociale italiana. Coinvolse anzitutto e ovviamente lo Stato, ma anche i datori di lavoro e i lavoratori dipendenti. Questi ultimi, attraverso una trattenuta sul salario mensile pari al valore di “una sigaretta al giorno”, aiutavano i colleghi più bisognosi. Fu così che in quattordici anni oltre 350.000 famiglie, che prima abitavano cantine, baracche e sottoscala, migliorarono le proprie condizioni abitative.

L’ultimo intervento governativo che dichiarava di avere ambizioni organiche sul tema, fu presentato nel 2009 da Berlusconi, ed era incentrato sull’aumento delle cubature e delle competenze regionali.

Quel che manca, da ben prima di allora, è però un dibattito attento agli ultimi e alle pieghe periferiche delle città. Un’occasione poteva – o potrebbe ancora – essere la discussione attorno al Pnrr. Il 7 ottobre 2022 il Ministro delle Infrastrutture e la Mobilità Sostenibili del governo Draghi, Enrico Giovannini, ha firmato il decreto che assegna 2,8 miliardi del Pnrr per l’attuazione del Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare (PinQua). Si punta a ridurre il disagio abitativo aumentando il patrimonio di edilizia residenziale pubblica, a rigenerare il tessuto socio economico dei centri urbani, a migliorare l’accessibilità, la funzionalità e la sicurezza di spazi degradati, spesso periferici.

Milano sarà il  luogo di uno dei progetti pilota. E così, a causa di scadenze strettissime, tra maggio e agosto, dal cassetto sono stati tirati fuori centinaia di progetti anche in ambito di edilizia popolare: si realizzeranno hub per alloggi temporanei tra Niguarda e San Siro e nuove abitazioni al Lorenteggio, si ristruttureranno vecchie costruzioni a Rubattino e ancora a Niguarda; infine  si penserà alla riqualificazione energetica ed edilizia di alcuni stabili di proprietà Aler. Interventi preziosi e necessari, che tuttavia avrebbero bisogno di essere inseriti in un contesto di visione complessiva, e non dovrebbero risolversi in azioni spot, per quanto utili alle realtà che ne beneficeranno. Queste risorse, inoltre, pioveranno in parte anche sulle case del  piano casa Fanfani pensate per un altro tempo e oggi abitate da bisogni completamente diversi: la working class delle vecchie fabbriche milanesi oggi è composta da famiglie straniere, lavoratori precari, muratori, cassintegrati, anziani soli e persone con gravi disagi e fragilità psichiatriche spesso prive di un adeguato sostegno. Allo stesso modo, e forse non a caso, molto diversa è la nostra città: allora polo attrattivo per il lavoro nella grande industria e oggi piattaforma e calamita per la rendita fondiaria. Il rischio di diventare una bolla esclusiva ed escludente, in questi casi, è sempre tangibile. Per scongiurarlo, è indispensabile che la politica ricominci ad ascoltare la fatica di chi improvvisamente perde il lavoro o guadagna troppo poco per pagare l’affitto e si trova all’improvviso in coda alla mensa dei poveri. Una città così piena di contraddizioni è il posto giusto in cui aprire una grande riflessione, un laboratorio sociale e politico che chiami in campo risorse umane e di pensiero, che accetti i conflitti e le contraddizioni senza rimuoverli.

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