A Milano serve un urban center, sarebbe un volano di idee per l’emergenza casa

A Milano, il problema casa, è ancora un nodo nevralgico che attende soluzioni: l’inflazione continua a condizionare il mercato immobiliare con l’aumento generale dei prezzi che incide a sua volta sull’andamento del costo delle case in vendita e sui tassi di interesse dei mutui. E se diminuiscono le compravendite non si può dire lo stesso per il prezzo del mattone. Tuttavia, oltre ai dibattiti e ai confronti pubblici, alle dichiarazioni della politica che promettono attenzione a riguardo, il tema casa sembra ancora molto lontano dall’avere lo spazio di riflessione che meriterebbe.

Nel frattempo, però, dal basso, si auto-organizzano mobilitazioni contro il caro affitti. Da un lato si fa strada l’attivismo di giovani studenti che, montando alcune tende davanti al Politecnico prima e occupando un ex studentato abbandonato poi, hanno dato vita ad una protesta diffusa che è stata capace di contagiare anche altre parti d’Italia per denunciare la mancanza di politiche attente all’abitare dedicate ai giovani e agli studenti.

Dall’altro lato, nei pressi del Parco Trotter, di recente si sono animati interessanti dibattiti in una tre giorni in cerca di soluzioni, organizzata dall’associazione Abitare Via Padova: una realtà volontaria, attiva da qualche tempo che mette insieme ricerca scientifica, modelli europei da replicare e una solida esperienza diretta sul campo di chi da quel quartiere, ormai destinato ad essere oggetto di una granfe trasformazione e di una conseguente speculazione da parte dei privati, rischia di esserne espulso nonostante in quello stesso quartiere ci viva e anche ci lavori.

In generale, l’attivismo milanese su questi (e molti altri temi sensibili ) sta pian piano trovando una sua voce grazie a scritti, interventi, azioni e, nel nostro piccolo, anche noi di Super, proveremo a far dialogare e confliggere voci differenti in un dialogo franco e di visione, durante la seconda giornata annuale del nostro Laboratorio di formazione permanente in ottobre.

Ma se la protesta delle tende è riuscita a stimolare il “Ministero  dell’Università e della Ricerca” nella costituzione di un gruppo di esperti, grazie alla sigla di un decreto in attuazione delle misure previste dal PNRR, per dare risposte in tempi brevi sul tema del caro affitti per gli studenti, rimane vero che non sono solo gli studenti a vivere una condizione di difficoltà oggettiva nella dimensione dell’abitare e che servirebbero soluzioni più programmatiche e di lunga gittata per tutti.

Ma è proprio chi sul territorio si muove, con azioni e proposte, che riscontra, da parte delle Istituzioni e della politica, la mancanza di un’attitudine alla comunicazione, alla discussione, alla partecipazione alle scelte attraverso un confronto diretto con le realtà ma anche i cittadini. Certo, amministrare non è cosa facile e, si sa, non sempre la retorica della partecipazione ha portato a buone cose.

C’è stato un tempo, tuttavia, in cui gli Urban center sembravano essere un valido strumento che aveva proprio l’obiettivo di raccordare un pensiero strategico di progettazione della città, con la città stessa. Un modo per attivare uno scambio prolifico tra soggetti agenti e soggetti agiti. Tra funzionari e reti, realtà del territorio, esperti, intellettuali e  cittadini stessi con l’intento, per dirla alla Carlo Olmo, quando diede vita nel 2010 all’associazione Urban center per la città di Torino, di “promuovere la cultura della città”. Un luogo, in sostanza, in cui l’istituzione abbia la missione di informare e coinvolgere i cittadini nella pianificazione urbana e nelle politiche pubbliche.

A partire da un modello americano che poneva il focus sulle tematiche dell’informazione, della comunicazione e del coinvolgimento dei community memebers, molte sono state le esperienze anche in Europa, tra le tante quella del CCCB (Centro cultura contemporanea di Barcellona) che si apre ai cittadini con mostre e iniziative capaci di dialogare con tutti in maniera chiara semplice e diretta. Ma anche in Italia, l’esperienza di Bologna della Fondazione per l’innovazione urbana ha fatto scuola con il suo ufficio per l’ Immaginazione Civica sostenendo le comunità del territorio. Anche Milano aveva un Urban Center in Galleria Vittorio Emanuele, proprio dove ora ha sede il negozio Monclair e che, una volta traslocato, ha trovato il suo posto in Triennale. Grazie ad un concorso bandito nel 2018, la nuova e bella sede era stata aperta ai cittadini nel 2019 per svanire, al posto di una nuova biglietteria, dopo il lungo periodo di Covid.

Uno spazio è solo uno spazio in fondo, ma rimane vero che Milano avrebbe bisogno di un laboratorio di dibattito audace che sappia anzitutto aggregare la grande produzione di ricerca di qualità di cui questa città ha la fortuna di  godere grazie a Univerisità, Istituzioni culturali, Fondazioni e privati. Tale ricchezza, unita ad una precisa e costante lettura dei dati estrapolati da tutte le progettualità messe in campo dall’Amministrazione potrebbe essere volano di discussione tra parti diverse: operatori, realtà locali, cittadini, intellettuali, attivisti, ognuno per il suo ruolo senza invasione di campo altrui, in dialogo con esperienze anche estere. Potrebbe non chiamarsi Urban Center, ma di sicuro con una buona dose di pragmatismo empirico, potrebbe essere la volta buona in cui Amministrazione, politica e cittadini potrebbero riavvicinarsi sulle questioni della pianificazione urbana e culturale di questa città pronta a guardare anche ai suoi rimossi. Sarebbe bello se il modello Milano, ripartisse, sperimentando nuove progettualità, proprio da qui.

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