Da anni coltivo l’ossessione per “le vite degli altri”, mi piacciono le loro storie, quello che raccontano e come sono. Per questo mi piace fotografare le persone che non lo sanno perché in quel momento sono inconsapevoli anche di quanto possano essere belle. Il 20 maggio a Portogruaro nello spazio PAB si è inaugurata la mia prima e unica mostra curata da Paola Bristot.
Qui il suo testo di presentazione, una gallery e un video
Questa mostra inaugura una serie di esposizioni che fanno parte di una ricerca sul panorama anche eterogeneo dei fotografi non professionisti che hanno uno sguardo selezionatore preciso dei diversi livelli del reale. Sono autori che ritagliano nello spazio e nella vita che li circonda livelli di percezione tematici che finiscono per diventare quasi ossessivi, nel senso positivo del termine. Ciascuno di loro ha un obiettivo prima di tutto oculare che definisce il campo di interesse specifico e lo indaga con perseveranza, spesso immagazzinando moltissime serie di fotografie scattate con il telefono.
Lo scatto da un apparecchio telefonico è agile, veloce, spesso passa inosservato, perché maneggiamo frequentemente il telefono abitualmente e generalmente che nessuno ci fa più caso.
Così, a differenza delle foto scattate da una macchina fotografica, soggetti sono meno “impostati”, la composizione è meno costruita.
La foto diventa un mordi e fuggi che inquadra il lato che più attira il Mobile Photograph.
La prima proposta di questa presentazione dei vari livelli di osservazione del reale contemporaneo è Federica Verona.
Friulana di origine, milanese d’adozione, Federica Verona è architetto e fondatrice, insieme ad un gruppo eterogeneo di professionisti, di un Festival delle periferie molto attivo, SUPER. Dal manifesto di SUPER leggiamo: “Un grande archivio di pratiche, azioni, realtà verrà pian piano costruito e rappresentato attraverso continue forme immediate, performative e popolari che coinvolgeranno un largo pubblico con l’obiettivo di raccontare l’energia che anima le periferie”. Questa sua adesione a un progetto coinvolgente i quartieri dove abita non è disgiunta dall’interesse verso l’aspetto più reale e tangibile della città: la gente. Un interesse che si sposta dalla percezione dello spazio alla percezione delle persone che ci vivono, che si incontrano che si relazionano con esso e inevitabilmente con le altre che incrociano in maniera occasionale o abituale. Le relazioni tra lo spazio e le persone diventa il focus dell’autrice come lei stessa dichiara:
“Le mie foto sono un omaggio agli esseri umani e a quel che sono, con i loro difetti, con le loro rughe, con il loro portamento elegante oppure povero, con le labbra di plastica, il sedere basso, oppure alto, le unghie smaltate e i cappotti marroni. I fiori, le parrucche, i cappelli, gli abiti costosi, i capelli marroni, grigi, viola o blu. La pelle nera, gialla, bianca, le ossa sottili e le ossa grosse. I sorrisi, le preoccupazioni, le gioie e le paure. In metropolitana, in chiesa, in ospedale, per strada, in una panchina, in un bar o in un museo. A Milano, Roma, Barcellona, New York, Berlino, Atene e Tel Aviv”.
Nell’esposizione cerchiamo di ridare il senso del viaggio, del movimento di chi fotografa, che a sua volta fa parte dello scenario dove si muovono le altre persone. Infatti un’altra caratteristica dei Mobile Photograph è l’empatia, non sono osservatori che si mettono su un piano diverso dai soggetti fotografati, sono nello stesso piano, incontri “alla pari”. Anche se alcuni possono sembrare insoliti, stravaganti, sono fissati nella foto da vicino, non ripresi con criteri “obiettivi”, ma appunto da quelli stessi che si attivano quando camminiamo nelle nostre città, per cui siamo attirati da particolari, anche fisici, o delle acconciature e dell’abbigliamento.
“Spesso gli esseri umani non sanno quanto possano essere interessanti e importanti nella loro normalità quotidiana e nella scelta di essere come sono.
I social, invece, sono densi di selfie impostati, capelli laccati, vestiti perfetti, corpi smagriti. Un prototipo di bellezza che risponde a canoni difficilmente naturali, ma legati alla moda alla tv, come se si fosse alla ricerca di una costante identità simile a quella di qualcun altro, più noto. Come a cercare sicurezza. Senza pensare che l’imperfezione, le pieghe e le increspature possano essere magie dei nostri corpi e del nostro essere”.
Abbiamo stampato solo una minima selezione dell’archivio fotografico che Federica Verona ha pubblicato come blog. Solo una sintesi che attesta però una sensibilità che nell’attenzione alle “pieghe” trasforma la quotidianità a sua volta in magia di ritratti che riescono a essere iconici e a raccontarci molto attraverso sfumature, particolari, occhi che a nostra incrociamo guardandoli attraverso i suoi.
Paola Bristot