Uno spazio di desiderio, a te cosa piace leggere?

È estate – e all’interno di un cortile, parte di un fatiscente caseggiato di edilizia popolare della periferia ovest milanese – si sta svolgendo uno spettacolo teatrale. Lo spettacolo porta tra la gente le storie ironiche e anche drammatiche di quattro anziani che si ritrovano in balera a capodanno. Il linguaggio è semplice e le storie raccontate potenzialmente vicine ad un abitante di una casa popolare. Ma il pubblico non è composto per la maggioranza da abitanti. Gli abitanti di quel caseggiato non scendono, stanno alla finestra, nascosti dietro alle tende, oppure attraversano il cortile frettolosamente con il cellulare in mano, interrogandosi sul perché sia necessario il teatro più di un intervento strutturale che migliori le loro case.

Portare la cultura nei territori densi di complessità, che sia questa in forma di teatro, arte, poesia, musica non è mai facile, anzi è cosa molto complessa e anche ambiziosa che ha a che vedere con il fatto che la cultura, come la intendiamo noi privilegiati che possiamo permetterci di rimanere aggiornati accedendo a programmi, festival, cinema, concerti e iniziative di livello, è inaccessibile alle persone più povere, italiane o straniere che siano e che vivono forti complessità sociali. A partire dal fatto che, per la nostra società, essere poveri spesso è una colpa.

Di certo, in questa disparità gioca un ruolo importante la questione geografica: il divario Nord-Sud rimane ancora marcato. Le regioni settentrionali mostrano tassi di partecipazione culturale molto più elevati rispetto al Sud e alle Isole. Poi conta anche il titolo di studio, chi possiede un livello d’istruzione superiore o universitario partecipa significativamente di più ad attività culturali rispetto a chi ha livelli di scolarizzazione più bassi. I giovani tra i 18 e i 34 anni sono i più attivi culturalmente, ma la fascia over 60 mostra un interesse crescente per alcune forme di cultura come musei e teatri.

Il reddito, inoltre, è uno dei fattori principali che determina l’accesso a cinema, concerti, mostre e altri eventi culturali da cui rimangono escluse le famiglie a basso reddito: circa il 60% delle famiglie con difficoltà economiche non può infatti permettersi attività culturali.

Nelle zone rurali, come nelle periferie profonde delle città, vi è una notevole mancanza di infrastrutture e servizi culturali adeguati, soprattutto nel Sud Italia. A questo si aggiunge la questione legata agli immigrati e alle minoranze: nonostante alcune iniziative di integrazione culturale, la partecipazione delle comunità migranti resta bassa, spesso a causa di barriere linguistiche ed economiche.

E non aiuta l’aumento dei prezzi dei biglietti di cinema, teatri e musei, che è un deterrente per molti. Nonostante la crescita delle offerte culturali online, l’accesso è limitato per alcune fasce di popolazione che non dispongono di dispositivi o connessioni adeguate. Infine le attività scolastiche extracurriculari legate alla cultura (visite a musei, spettacoli teatrali) sono ridotte, in particolare nelle scuole di periferia.

Molte sono le iniziative, anche promosse dalle amministrazioni stesse, che vengono incentivate nelle pieghe delle città, non c’è dubbio. Ci sono bandi – purtroppo molto rigidi e con linee guida molto precise – per incentivarle, il rischio però è che attraggano pubblici altri che non vengono da quelle parti di città e che, date le complessità di quei bandi, favoriscano strutture culturali consolidate invece di promuovere realtà minori e meno strutturate dal punto di vista formale, anche se più capaci di aggregare comunità territoriali.

Dove il costo della vita è molto alto, le realtà underground nate nelle periferie sono costrette a chiudere

D’altra parte, tante sono anche le realtà dal basso: associazioni, reti, organizzazioni che sempre più faticano a stare nel territorio. In città come Milano ad esempio, dove il costo della vita è molto alto a fronte di stipendi sempre uguali, le realtà underground nate nelle periferie per promuovere cultura dal basso sono costrette a chiudere oppure, per rientrare dei debiti per ristrutturazioni o per co-finanziamenti anticipati e sostenere costi fissi, ad alzare i prezzi di bevande e cibo, di fatto escludendo parte della popolazione per cui quelle realtà si sono costituite.

A questo si aggiunge il fatto che tanti di quei centri sociali che mantenevano un’offerta più popolare sono stati chiusi, invece di diventare parte di un progetto culturale diffuso, coraggioso e riconosciuto, come accade ad esempio in posti come Rotterdam o Berlino dove gli spazi occupati possono diventare luoghi di risorsa per biennali d’arte, residenze d’artista, concerti. D’altra parte, per costruire un scena culturale adatta a tutti, non solo per chi ha il privilegio di poterla vivere, serve porsi delle questioni anche politiche, oltre che sociali. piace leggere?

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