Come rivoluzionare la scuola, intervista a Cesare Moreno

Qualche mese fa, ho passato un pomeriggio a San Giovanni Barra, con Cesare Moreno, maestro di strada. Mi è venuto a prendere alla stazione con un grande furgone bianco, mi ha fatto fare un giro tra le case popolari e quelle della media borghesia ai piedi del Vulcano. Poi mi ha portato nella sede della scuola popolare che presiede dove accoglie centinaia di ragazze e ragazzi all’anno per un percorso educativo basato su sogni e desideri non su imposizioni sociali. Abbiamo parlato ore. Di scuola, cultura, politica, società. Della necessità che avrebbero le periferie di autonarrarsi e gli adolescenti di essere visti.
Poi ha caricato me e la mia valigia sul furgone e mi ha riaccompagnato alla stazione di Napoli al tramonto.
Sono molto grata a @lucy.sullacultura per avermi dato l’occasione di condividere le sue parole e il suo pensiero, così potenti.

Cesare Moreno di mestiere fa il maestro elementare e, da più di trent’anni, percorre le periferie napoletane intercettando adolescenti che coinvolge in un prezioso progetto parallelo alla scuola, di educativa di strada. Lavorando sul campo, lontano dalle ideologie, Maestri di Strada Onlus – l’associazione da lui fondata e di cui oggi è presidente – raggiunge ogni anno migliaia di ragazze e ragazzi. Di questi, circa trecento entrano poi a far parte di una quotidianità fatta di laboratori, relazioni, esperienze artistiche e di scambio, che mette  in discussione i concetti classici del fare educazione e scuola. 

Ho incontrato Cesare Moreno a Barra, nella periferia orientale di Napoli. Ai piedi del Vulcano, tra case popolari riabilitate da murales di artisti di fama internazionale e dimore della media borghesia (e il mare, ovviamente). Dopo un breve giro del rione, a bordo del suo grande e riconoscibile furgone bianco, la nostra conversazione ha inizio nella sede di Maestri di Strada Onlus, una vecchia scuola che l’associazione ha in uso e che pian piano sta ristrutturando.

Cesare, raccontami il tuo lavoro, cosa fai ma soprattutto il perché lo fai.

“Maestri di Strada” è un’organizzazione che tende a trasformare la scuola come fondamento del contratto sociale. Per “scuola” si intende qualcosa di funzionale alla politica, nel senso della polis, quindi della città. Ci occupiamo di legami umani che si possono creare intorno alla scuola e alla dimensione della cura. L’idea diffusa è che la scuola elementare, media e superiore, debba escludere le famiglie invece di includerle, e distanziare i ragazzi fra loro.  Ed è qui che la natura isolazionista della scuola corrisponde molto bene con la struttura isolazionista dell’abitare in  città. Le piazze non sono più luoghi d’incontro, ma  campi di battaglia della criminalità assortita. Mancano nel nostro territorio luoghi di incontro significativi per i ragazzi. Le parrocchie non funzionano come spazi di aggregazione, gli scout nemmeno, così come le federazioni giovanili dei partiti. Ma l’io deriva dal noi. Possiamo usare una metafora che va bene anche per gli urbanisti: il fuoco del villaggio alimenta anche i focolai domestici e non il contrario. Nei libri di scuola e anche nei libri più colti, l’immagine prevalente è quella di un uomo che viveva solo e che solo poi ha capito che aggregandosi ad altri poteva stare meglio. Ha iniziato a vivere coi grandi gruppi, che stavano assieme sulla base di necessità fisiche come la caccia. E i dipinti sulle pareti che ci hanno lasciato questi gruppi la dicono lunga sul fatto che l’arte non è un bisogno secondario. Quegli uomini erano morti di paura, morti di fame, morti di freddo, con le tigri con i denti a sciabola in agguato, ma per difendersi dipingevano. E’ chiaro che il dipingere, l’arte, è un bisogno primario di un gruppo. La dimensione sociale del vivere precede la dimensione individuale e la scuola dovrebbe essere un luogo dove la dimensione sociale del vivere viene esaltata, non sminuita. 

Il resto dell’intervista si può trovare qui

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