L’altro lato di Milano

Ho scritto un racconto su Milano che accompagna le fotografie di Filippo Romano per Artribune

Dal Duomo a Niguarda, a piedi, ci si mette circa un’ora e un quarto, lo stesso tempo che ci si impiega, sempre dal Duomo, per arrivare in zona sud a Stadera. 

Milano, rispetto ad altre, è una città piccola che ha uno spazio breve tra il suo centro e i suoi confini. A Milano, però, in pochi camminano forse perché Milano non è Roma, non è Venezia e nemmeno Parigi, sembra meno bella, l’aria è piuttosto inquinata e nei marciapiedi ci corrono spesso le biciclette che hanno paura delle macchine. 

Tuttavia, Milano, solo se la percorri camminando si disvela intimamente senza filtri, con coraggio, mostrando anche in maniera brutale quel che è e quello che non è, l’occasione che ha saputo cogliere e l’occasione che ha invece perduto.

Milano sembra fredda, è difficile infatti che qualcuno ti chieda “come stai?” forse perché nessuno ha tempo di stare ad ascoltare la risposta. 

Negli ultimi 15 anni poi questa metropoli tascabile è profondamente cambiata: è diventata la “città modello”di cui tutti parlano dopo aver ospitato Expo grazie al quale è stata lanciata nell’olimpo del turismo e degli interessi immobiliari, è la città che ospiterà le Olimpiadi invernali, anche se a Milano non nevica mai, è la città tanto dei grandi eventi quanto di quelli piccoli, la città che dopo il Covid invece di bloccarsi sta continuando a salire, correre, lavorare, la città delle eccellenze. Questa è la narrazione da New York Times che vuole Milano come punto di riferimento nazionale e internazionale soprattutto dopo lo stallo in cui Roma è caduta.

In verità, se la si attraversa, tra gli edifici del primo dopo guerra con gli oleandri fioriti sui balconi, le nuove piazze, i nuovi centri abitati attorno ai centri commerciali del futuro dove hanno casa le influencer e i calciatori, progettati dalle archistar, ci sono anche le case popolari e quel che resta di vecchi quartieri, oppure ci sono quartieri che, come Baggio o Dergano, sono molto resistenti e non sono cambiati mai. E’ li che resistono le ultime osterie con i vecchi che giocano a carte mentre fumano anche se non si può, le posterie del borgo, le piccole librerie, gli artigiani, le associazioni, i gruppi informali, che dal basso si attivano e promuovono azioni infinite di amore verso il territorio che abitano, usano, difendono. Con Super, il festival delle periferie, in questi anni ne abbiamo incontrate circa 200 di queste piccole realtà straordinarie che sopravvivono a quella narrazione della Milano vincente che pian piano, a forza di essere diffusa, aumenta il costo della vita di tutti, ma soprattutto di quelli che hanno di meno. E’ lì che sono nate le più grandi azioni di volontariato e altruismo durante i giorni del Lockdown: a Dergano un gruppo di donne attivissime nel quartiere si sono inventate la Cesta sospesa “chi ha mette, chi non ha prende”, è a Gratosoglio che un abitante molto attivo in quartiere ha inventato ReUp un modo per riparare computer donati dalla città che sono stati distribuiti a chi non poteva permettersene uno per lavorare da casa o fare la Dad, mentre le Brigate sanitarie offrivano tamponi gratuiti a chi ne avesse bisogno.

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