“Milano non è una città per principianti”, disse un volta un taxista, mentre raccontava quante cose in questi anni sono cambiate :”Tanti stranieri, tanti che dormono per strada, tanti senza lavoro”.
Aveva ragione, come per molti grandi centri urbani la Milano che corre tra le dinamiche dell’economia, lascia dei feriti per strada, che piaccia o no. Un testo scritto per la rivista l’Ippografo.
Sono feriti che hanno storie diverse e che spesso, se finiscono senza casa, non ci finiscono perché è una scelta di vita, come siamo abituati a pensare rievocando l’immagine del ‘barbone con la fiaschetta di vino in mano’.
L’ homelessness oggi è invece sempre più temporanea, tocca le persone più normali ed è semplicemente una forma umana di adattamento alla povertà.
Se uno dei motivi più frequenti è sempre stata la fragilità della famiglia che, in particolare per gli uomini è uno dei motivi di depressione e di graduale perdita progressiva delle sicurezze sociali insieme al lavoro e alla casa, oggi è invece la fragilità lavorativa a essere uno dei motivi che spiegano la vita in strada e sempre più la promuovono.
Perdere il lavoro oggi è all’ordine del giorno, i tenori di vita si abbassano, l’impossibilità di pagare un affitto spesso non inferiore ai 700€ per un monolocale diventa concreta, ed è un attimo che gli sfratti diventano effettivi.
La mancanza di una politica dell’abitare temporaneo si fa così sempre più evidente. A Milano, ad esempio, non esistono dormitori per famiglie, così è un attimo che se a trovarsi sfrattate sono coppie con figli, le donne vengono portate con i bambini in qualche centro di prima accoglienza e gli uomini finiscono in strada.
Non esistono più infatti i vecchi ostelli per i viandanti che un tempo accoglievano turisti freak, studenti ma anche homeless di ogni tipo, in cambio di poche lire offrendo loro camerate e docce comuni. Gli ostelli oggi sono molto pochi e il costo di permanenza per una notte si aggira attorno ai 25 euro, che se quantificate in un mese, corrispondono a 750 euro, senza cucina personale e bagno privato.
Qualcuno allora si fa ospitare dagli amici e dopo qualche tempo di surfing sofà, finisce a dormire magari in macchina, l’unica cosa che rimane in proprietà e che, se non si rinnova l’assicurazione e se non si paga il bollo, costa circa 200 euro al mese per far andare il riscaldamento durante la notte. Ma c’è anche chi, investe quel che gli rimane per acquistare una tenda da campeggio la Ferrino, facile e leggera da montare con cui ci si può organizzare per la notte, a riparo da sguardi indiscreti.
La notte il centro della città diventa così un grande contenitore -inconsapevole- del disagio e ospita italiani e stranieri, donne e uomini, giovani e anziani.
Gli stranieri spesso fanno lavori temporanei ma, dati i tempi che corrono, sempre di più faticano a portare a termine il loro progetto migratorio, in particolare se sono appena arrivati in Italia e non hanno una rete familiare ad accoglierli. È frequente vedere coricarsi in strada qualche cinese oltre ai giovani provenienti dal Marocco o dai paesi dell’Est che, tendenzialmente si muovono single. E’ possibile poi vedere pakistani e bengalesi che, alla fine del turno di vendita delle rose, recuperano qualche cartone e si buttano a terra.
Spesso, proprio per questi ultimi è difficile trovare posto nei “miurghi” o ‘pollai’: appartamenti sovraffollati e in subaffitto dove, a turno, a seconda degli orari di lavoro, ci si può turnare per usare a pagamento un branda se libera che, nell’arco delle 24h può essere utlizzata da almeno 4 persone. Oppure ancora, un po’ fuori città, si possono vedere automobili/casa occupate da famiglie di lavoratori con bambini.
Vi sono diversi modi di attrezzarsi durante la notte, ognuno dei quali denota una capacità di autorganizzazione e di invenzione del proprio “existenz minimum”. A seconda del tempo passato in strada, l’esperienza diventa direttamente proporzionale alla stabilità del proprio giaciglio e alla capacità di inventare forme di organizzazione del proprio spazio.
Ogni tanto in anfratti del centro urbano, sorgono vere baraccopoli o tendopoli costruite da italiani o stranieri che in quel luogo si sono stabilizzati e che spesso hanno anche il supporto amicale delle strutture mobili di assistenza. Alcuni sono spazi occupati collettivamente, anche se la vita in strada, soprattutto all’inizio, è solitaria e autonoma. Alcuni insediamenti, invece, sono più temporanei anche se sorgono sempre nello stesso luogo, ossia poco prima della notte è possibile vedere sorgere interi sobborghi di cartone, piccoli recinti fatti di scatole dove accovacciarsi e sparire fino al mattino.
Posizionarsi vicino a qualcun’altro può dare sicurezza nel caso arrivi la polizia o per ripararsi da eventuali rapinatori di coperte o i di oggetti personali. In particolare per le donne, che hanno in genere una vita molto più a rischio di violenza.
I materiali utilizzati per la costruzione della propria “instant home” durante il giorno vengono conservati piegati in luoghi nascosti e scelti con cura, dietro alle colonne, vicino alle scale di imbocco della metropoitana o nelle nicchie delle chiese.
Le case di strada possono essere costruite con ombrelli aperti e composti incastrati tra loro, oppure c’è chi riempie ossessivamente borse di plastica che trasporta nei carrelli rubati al supermercato per dormirci in mezzo alla notte. La palstica è un buon isolante dal rumore, dal freddo ed è morbida.
Alcuni protagonisti della strada invece non sono così organizzati perchè sono nuovi, o perchè appena arrivati in città o perchè appena impoveriti, allora occupano gli ingressi delle Stazioni Ferroviarie, i gradini delle vetrine dei negozi e recuperano solo qualche piumone sintetico e qualche cartone per coprirsi e il vino è carburante fondamentale per il riscaldamento.
Di solito, in inverno, le ore utili per dormire sono molto poche perchè l’asfaldo nelle ore centrali della notte, immagazzina il freddo e così si è costretti ad alzarsi e camminare per evitare l’ibernazione.
Molte sono le strutture di accoglienza, in genere i centri d’ascolto leggono il bisogno e indirizzano ai dormitori, alle mense, ai bagni pubblici e agli ambulatori.
Purtroppo però l’offerta di accoglienza non è in grado di soddisfare la domanda e spesso le ferree regole per utilizzare una branda in dormitorio fanno comunque scegliere la strada.
L’homelessness pertanto non è ancora facilmente accettata dalle città e spesso i servizi che vengono offerti in strada non sono strutturati a tal punto da poter permettere funghi riscaldanti, piccoli camping organizzati, bagni chimici trasportabili, strutture gonfiabili per accogliere nell’emergenza freddo.
Durante la notte, a Milano come in molte altre città, ci sono vari servizi mobili che perlustrano la città dei senza tetto. In teoria dovrebbero essere organizzati in turni per evitare di passare nello stesso momento, in realtà accade di sovente che tutti si trovino a passare dagli homeless di riferimentoi lasciando loro cibo e bevande calde.
Il cibo viene gentilmente offerto da panifici e pasticcerie generose, ma può capitare che vi sia un esubero, tanto da costringere i senza tetto ad offrire il cibo avanzato all’associazione mobile che passerà poco più tardi.
Questo determina ovviamente uno spreco inutile di cibo.
Le associazioni, che volontariamente lavorano sul campo, sono comunque l’unico supporto per i senza tetto, anche se capita che per evitare il troppo assistenzialismo spesso funzioni di più una rete di welfare dal basso creata dagli homeless stessi, che si muovono quando hanno bisogno di cibo o di cure sapendo esattamente dove e come raggiungere l’assistenza che loro serve.
Spesso capita infatti, che nei luoghi di maggior passaggio, come le stazioni dei treni, si creino comunità di persone che mutualmente si aiutano tra loro. Può capitare anche che queste si inventino attività creative, come la scrittura, la musica, la pittura, o lo sport.
Sono sicuramente difficili le convivenze rispetto ai nuovi arrivati e ci vuole tempo per consolidare le relazioni, soprattutto sotto l’effetto dell alcol.
Può però capitare nei piccoli quartieri di macchine abbandonate e abitate o tra le piccole tendopoli organizzate, si vedano gruppi uniti e consolidati nei rapporti amicali. Sostitutivi alla famiglia e agli affetti che non ci sono più.
Chiaramente la crisi economica ha avuto un effetto molto rilevante sulle nuove povertà.
E’ visibile un progressivo aumento di gente “normale” e “per bene” che si appoggia in un angolo aperto di città e posa per terra i piumoni che fino a qualche tempo prima utilizzava in casa.
Oggi infatti sono altissimi i numeri di case che le Banche hanno in proprietà perchè ottenute dal mancato pagamento dei mutui a tasso zero che hanno illuso molti italiani.
Per questo l’homelessnes è un argomento che fa paura ai più perchè sempre possibile e perchè potrebbe capitare a tutti.
Bisognerebbe augurarsi invece che negli anni che verranno, un’idea di sobrietà diffusa si trasformi in una accettazione maggiore da parte delle città all’esistenza dei senza casa.
Perchè se la strada sta diventando una casa per molti il welfare ha bisogno di reinventarsi in modo meno assistenzialista e più pragmatico e la politica della casa deve ragionare sull’offerta di temporaneità a poco prezzo, permetteno l’accesso all’alloggio con affitti sostenibili a seconda delle possibilità di ognuno in una logica collaborativa tra pubblico e privato.
Insomma l’emergenza non può esserlo solo in inverno e venire solo dalle voci del volontariato.
Testo scritto per la rivista “L’ippogrifo” pubblicato nel numero titolato “Legami sostenibili”